Gli occhi esprimono

Ci esprimiamo generalmente con la parola, tanto che possiamo farlo in modo pressoché completo anche al telefono o da dietro una porta. In realtà, anche in questi casi, oltre che la sola parola, utilizziamo ulteriori indicatori,  quali il tono, la velocità, il timbro e il volume della voce, che coloriscono la nostre parole arricchendo e completando la comunicazione.

Si comincia quindi a distinguere tra comunicazione verbale e comunicazione non verbale.

La comunicazione non verbale spesso veicola più informazioni della comunicazione verbale: le espressioni del viso, la gestualità delle mani, il linguaggio del corpo con le varie posture, e così via.

Proprio la gestualità delle mani, diventa un vero e proprio linguaggio, e a volte, persino il silenzio può valere mille parole. 

Nella comunicazione non verbale, anche gli occhi hanno un loro particolare ruolo che, a differenza di altre parti del corpo, possono sfuggire più facilmente al nostro autocontrollo.

Sappiamo che se incrociamo le braccia mentre parliamo con un nostro interlocutore, mostriamo un atteggiamento di chiusura. Questo è un atteggiamento che volendo possiamo anche controllare consapevolmente.

Sappiamo che il dilatarsi della pupilla indica compiacimento, e l’occhio lucido fa trasparire una certa emozione: ebbene, questi comportamenti sono sicuramente un po’ meno controllabili delle braccia che si incrociano. 

Ecco allora che, se il nostro interlocutore si coprisse il naso e la bocca con una “piccola maschera” allora ecco che la nostra attenzione ricadrebbe completamente sugli occhi, tanto da poter scorgere alcuni movimenti che ci comunicano qualcosa in più di quello che stiamo ascoltando con le orecchie.

Non si tratta di una scienza esatta, ma generalmente accade che:

. Se l’ascoltatore non guarda la persona che gli sta parlando, potrebbe voler dire che stia comunicando indifferenza e rifiuto, oppure sottomissione e timore reverenziale.

. Se gli occhi si muovono verso l’alto e verso destra (a sinistra per l’ascoltatore), tale movimento denoterebbe la rievocazione (con la ricerca nella memoria) di un’informazione o di una situazione passata.

. Se gli occhi, si muovono verso l”alto e verso sinistra (a destra per l’ascoltatore), di sicuro si sono attivate le funzioni creative (e non i ricordi), per cui potrebbe anche essere che l’interlocutore stia inventando o mentendo.

. Se gli occhi si orientano verso il basso significa che probabilmente si è entrati in un processo di introspezione.

Provate, fate finta che l’interlocutore abbia una “piccola maschera” e concentratevi solo sulla direzione del suo sguardo.

La rètina è soprattutto nell’occhio

Se in questo contesto si parla di rètina, ovviamente si intende quella sottile membrana interna all’occhio che ha l’importante compito di trasformare le immagini in impulsi nervosi che il nervo ottico trasmette poi al cervello.

Non si intende quindi parlare della retina, il diminutivo di rete e quindi senza l’accento sulla prima sillaba, la piccola rete che usavano (o forse usano ancora) le donne, ma anche gli uomini, per contenere i capelli durante la notte e risvegliarsi con l’acconciatura impeccabile.

Più un generale, la rete è quell’arnese di filo o di fune fatto a maglia per catturare uccelli, pesci, animali selvatici: tecnica di caccia, chissà, forse presa a prestito dai ragni, abili tessitori di ragnatele.

I termini spesso vengono presi a prestito per indicare altri oggetti o altri concetti, e si evolvono o cadono in disuso. Magari non ricordiamo più le reti dei letti su cui si appoggiavano i materassi, prima delle doghe, ma se sentiamo l’esclamazione “Rete!” siamo sicuri che si tratta di un goal: sì, quell’evento nel quale un oggetto sferico con una circonferenza tra 68 e 70 centimetri (denominato pallone) entra in una porta del gioco del calcio.

Ma tornando a parlare di rètina, ponendo l’accento proprio sulla prima sillaba, si possono intendere anche i display Rètina. Si tratta di particolari schermi che hanno una densità di pixel (i singoli puntini dello schermo) tale da renderli impercettibili all’occhio umano, aumentando quindi la nitidezza delle immagini, al fine di avvicinarsi sempre più alla vista reale.

In effetti non sembra che questi schermi abbiano molto a che fare con la rètina vera e propria, come invece sono le sempre più promettenti ricerche scientifiche per la realizzazione dell’occhio bionico.

Qualcuno ricorderà il telefilm dell’uomo bionico dei primi anni 80, l’uomo da sei milioni di dollari, che aveva appunto un occhio bionico, oltre ad un braccio e le due gambe. Un occhio che, oltre ad avergli ripristinato la vista normale, gli permetteva di vedere al buio e di disporre di un eccellente zoom.

Era stata una notizia di metà 2020, secondo la quale degli ingegneri ricercatori della Hong Kong University of Science and Technology avrebbero già realizzato una protesi visiva ispirata del tutto alla retina umana. Anche se ancora un prototipo a bassa risoluzione, i ricercatori ipotizzavano che una protesi utilizzabile sarebbe potuta essere disponibile in circa cinque anni.

Natura e tecnologia quindi si incontrano, l’una prende a prestito dall’altra e viceversa, fino ad intrecciare una sempre più fitta rete di contatti e di informazioni. Uno scambio continuo che ne aumenta l’integrazione e che … allarga le vedute.

Occhio … malocchio …

Ovviamente il malocchio è frutto di credenze e tradizioni popolari che si tramandano pur senza alcun comprovato e riconosciuto fondamento scientifico.

Si tratta di quella superstizione secondo la quale lo sguardo di una persona  avrebbe il potere di causare malasorte alla persona osservata. Ecco perché si parla di “malocchio” (il maledire attraverso l’occhio), anche se qualcuno di più “fiscale” parla di “fattura”!

Pare che il destinatario del malocchio possa anche solo avvertire un po’ di spossatezza, o semplice mal di testa, ma anche diventare oggetto continuo di disgrazie ed eventi particolarmente sfortunati, fino a pensare di essere perseguitati effettivamente da una maledizione.

Se non si è giovanissimi si ricorderà sicuramente il film con Lino Banfi all’inizio degli anni 80 “Occhio, malocchio, prezzemolo e finocchio”, uno spaccato di non lontana superstizione da combattere a suon di cornetti rossi, di riti propiziatori e consulti a maghi e santoni. Una commedia all’italiana sicuramente tutta da ridere.

E che dire della figura dello iettatore interpretato da Totò nell’episodio “La Patente” del film “Questa è la vita” del 1954, tratto da una novella di Luigi Pirandello. Una credenza talmente radicata da essere riconosciuta dalle istituzioni, fino a far trasformare il potere di portatore di iella in una professione.

Nel caso specifico del malocchio, per tradizione popolare, esiste un particolare rito di ambito familiare che si tramanda da generazione in generazione, e generalmente da madre in figlia, con tanto di apposito cerimoniale.

Il rito per eliminare il malocchio vuole quindi che la persona “mal guardata” si accomodi su una sedia con la schiena dritta e resti ferma. Il “guaritore” gli appoggia quindi sulla testa un piatto fondo contenete dell’acqua, e per tre volte versa delle gocce di olio nel piatto ripetendo delle formule a mente tramandate oralmente, e accompagnando il tutto con una ben precisa gestualità sul piatto. L’osservazione delle eventuali trasformazioni della forma delle gocce di olio, confermerà quindi la presenza del malocchio e la relativa cancellazione.

Crederci? … Non Crederci? … o semplicemente, le “cose” hanno il potere che gli si da?

Occhio per occhio non fa sessantaquacchio

Ovviamente il modo di dire è “occhio per occhio, dente per dente”, ma così non fa sorridere! Ma soprattutto, in questa sede, non si vuole tirare in ballo anche i dentisti.

Un modo di dire con un concetto semplice che esprime un principio di proporzionalità che non lascia dubbi, e non da spazio ad interpretazioni. Un principio immediato ed elementare di rivalsa/vendetta che dava il diritto di rispondere in egual misura ad un danno ricevuto.

E’ la cosiddetta legge del taglione, in base alla quale si riconosceva la possibilità di infliggere un danno uguale all’offesa ricevuta, e questo riconoscimento aveva proprio la funzione di porre un limite preciso alle vendette che altrimenti degeneravano in risposte continue e sempre maggiori.

Insomma si tratta dei rudimenti basici di giustizia, per la determinazione di una pena che non fosse un fai-da-te. 

La più antica testimonianza della definizione di tali principi sembra essere contenuta nel Codice di Hammurabi, una raccolta di leggi scritte durante il regno di un sovrano babilonese tra il 1792 e il 1750 a.C.. Un Codice rinvenuto (e ora esposto nel museo del Louvre a Parigi) all’inizio del 1900 da un archeologo francese durante delle ricerche nella città di Susa (Susa in Iran, e non quella in provincia di Torino).

Si trovano riferimenti anche nella Bibbia: “Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, scottatura per scottatura, ferita per ferita, contusione per contusione”. E poi ancora:Se uno colpisce l’occhio del suo schiavo o l’occhio della sua schiava e glielo fa perdere, li lascerà andare liberi in compenso dell’occhio perduto”. Ed ecco trovata un’eccezione al senso di equità con lo schiavo, la cui libertà gli costa un’occhio della testa, mentre il suo padrone evita la mutilazione.

Da allora le leggi della giustizia si sono evolute stabilendo controvalori e pene più o meno equi, e considerando pesi e contrappesi alla ricerca di una giustizia giusta.

Quindi, occhio per occhio potrebbe anche fare sessantaquacchio, al di là del naturale e matematico otto per otto sessantaquattro …. naturale e matematico come il terzo principio della dinamica (o principio di azione e reazione, o terza legge di Newton) il quale afferma che “ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria”!

Persino gli occhi potrebbero essere arancioni

In verità, pare che in natura non esistano proprio degli occhi umani di color arancione. Piuttosto esistono di un colore ambra, che è forse il colore più vicino all’arancione, anche se sarebbe da considerare più una variante del giallo.

Come per gli occhi dal colore verde, anche quelli di color ambra sono tra i più rari al mondo, con quelle sfumature d’oro che conferiscono allo sguardo un indubbio fascino.

Gli occhi ambra, ma anche proprio di colore arancione, li possiamo trovare più facilmente negli animali, come i gatti e i gufi.

Anche il colore giallo non è un colore che si può ritrovare negli occhi umani, e anche in questo caso possiamo invece trovarlo negli animali: gatti, lupi e l’elegante, quanto feroce, pantera nera.

Non parliamo poi degli occhi rossi, tipo quelli che risultavano dalle foto “analogiche” di un tempo, quando si usavano le ormai antiche macchine fotografiche che male impressionavano le pellicole nei cilindrici rullini. La parte dell’occhio che invece oggi diventa rossa più facilmente è quella che normalmente dovrebbe essere bianca (e non gialla per evidenti problemi epatici): arrossamenti favoriti spesso da lunghe giornate davanti ad uno schermo, anche grazie agli ormai frequenti smartworking e alle didattiche a distanza. 

E’ anche vero che esistono le lenti colorate, e quindi con un’invenzione tutta innaturale dell’uomo potremmo dare qualsiasi colore ai nostri occhi: gialli, arancioni, e persino rossi. Si tratterebbe però in modo evidente di colori forzati, come se si mettesse una maschera sull’iride che nasconde la reale e naturale espressione del colore dell’occhio. Colori reali e naturali come il marrone della terra con le varie tonalità dal più chiaro al più scuro (anche il nero nell’occhio in realtà è un marrone scurissimo), come l’azzurro del cielo e il blu del mare, e come il verde della natura rigogliosa.

Insomma, colori artificiali o colori naturali? 

Questo è il dilemma!